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martedì 24 agosto 2021

L'ultimo articolo di Gino Strada ci spiega la guerra in Afghanistan


Uragano Talebano
© GIO / Mariagrazia Quaranta



L’ULTIMO ARTICOLO DI GINO STRADA del 13 agosto SU “LA STAMPA”

parla della GUERRA IN AFGHANISTAN, FALLIMENTO DEL TUTTO PREVEDIBILE

Ecco l’ultimo articolo di Gino Strada, pubblicato da  “La Stampa” in prima pagina, con il titolo “Così ho visto morire Kabul”.

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di Gino Strada per “La Stampa”, 13 agosto

Si parla molto di Afghanistan in questi giorni, dopo anni di coprifuoco mediatico. È difficile ignorare la notizia diffusa ieri: i talebani hanno conquistato anche Lashkar Gah e avanzano molto velocemente, le ambasciate evacuano il loro personale, si teme per l’aeroporto. Non mi sorprende questa situazione, come non dovrebbe sorprendere nessuno che abbia una discreta conoscenza dell’Afghanistan o almeno buona memoria. Mi sembra che manchino - meglio: che siano sempre mancate - entrambe. La guerra all’Afghanistan è stata - né più né meno - una guerra di aggressione iniziata all’indomani dell’attacco dell’11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi occidentali.

Il Consiglio di Sicurezza - unico organismo internazionale che ha il diritto di ricorrere all’uso della forza - era intervenuto il giorno dopo l’attentato con la risoluzione numero 1368, ma venne ignorato: gli Usa procedettero con una iniziativa militare autonoma (e quindi nella totale illegalità internazionale) perché la decisione di attaccare militarmente e di occupare l’Afghanistan era stata presa nell’autunno del 2000 già dall’Amministrazione Clinton, come si leggeva all’epoca sui giornali pakistani e come suggerisce la tempistica dell’intervento. Il 7 ottobre 2001 l’aviazione Usa diede il via ai bombardamenti aerei.

Ufficialmente l’Afghanistan veniva attaccato perché forniva ospitalità e supporto alla “guerra santa” anti-Usa di Osama bin Laden. Così la “guerra al terrorismo” diventò di fatto la guerra per l’eliminazione del regime talebano al potere dal settembre 1996, dopo che per almeno due anni gli Stati Uniti avevano “trattato” per trovare un accordo con i talebani stessi: il riconoscimento formale e il sostegno economico al regime di Kabul in cambio del controllo delle multinazionali Usa del petrolio sui futuri oleodotti e gasdotti dall’Asia centrale fino al mare, cioè al Pakistan. Ed era innanzitutto il Pakistan (insieme a molti Paesi del Golfo) che aveva dato vita, equipaggiato e finanziato i talebani a partire dal 1994.

Il 7 novembre 2001, il 92 per cento circa dei parlamentari italiani approvò una risoluzione a favore della guerra. Chi allora si opponeva alla partecipazione dell’Italia alla missione militare, contraria alla Costituzione oltre che a qualunque logica, veniva accusato pubblicamente di essere un traditore dell’Occidente, un amico dei terroristi, un’anima bella nel migliore dei casi. Invito qualche volonteroso a fare questa ricerca sui giornali di allora perché sarebbe educativo per tutti. L’intervento della coalizione internazionale si tradusse, nei primi tre mesi del 2001, solo a Kabul e dintorni, in un numero vittime civili superiore agli attentati di New York. Nei mesi e negli anni successivi le informazioni sulle vittime sono diventate più incerte: secondo “Costs of War” della Brown University, circa 241 mila persone sono state vittime dirette della guerra e altre centinaia di migliaia sono morte a causa della fame, delle malattie e della mancanza di servizi essenziali. Solo nell’ultimo decennio, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) ha registrato almeno 28.866 bambini morti o feriti. E sono numeri certamente sottostimati.

Ho vissuto in Afghanistan complessivamente 7 anni: ho visto aumentare il numero dei feriti e la violenza, mentre il Paese veniva progressivamente divorato dall’insicurezza e dalla corruzione. Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista. Oltre alle 241 mila vittime e ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo, l’Afghanistan oggi è un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra civile, i talebani sono più forti di prima, le truppe internazionali sono state sconfitte e la loro presenza e autorevolezza nell’area è ancora più debole che nel 2001. E soprattutto è un Paese distrutto, da cui chi può cerca di scappare anche se sa che dovrà patire l’inferno per arrivare in Europa. E proprio in questi giorni alcuni Paesi europei contestano la decisione della Commissione europea di mettere uno stop ai rimpatri dei profughi afgani in un Paese in fiamme.

Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di Euro. Le grandi industrie di armi ringraziano: alla fine sono solo loro a trarre un bilancio positivo da questa guerra. Se quel fiume di denaro fosse andato all’Afghanistan, adesso il Paese sarebbe una grande Svizzera. E peraltro, alla fine, forse gli occidentali sarebbero riusciti ad averne così un qualche controllo, mentre ora sono costretti a fuggire con la coda fra le gambe. Ci sono delle persone che in quel Paese distrutto cercano ancora di tutelare i diritti essenziali. Ad esempio, gli ospedali e lo staff di Emergency - pieni di feriti - continuano a lavorare in mezzo ai combattimenti, correndo anche dei rischi per la propria incolumità: non posso scrivere di Afghanistan senza pensare prima di tutto a loro e agli afghani che stanno soffrendo in questo momento, veri “eroi di guerra”.


Catene - GIO / Mariagrazia Quaranta



«Sì, è uno scontro di civiltà», lettera di Gino Strada da Kabul 

(Strada fu tra i primi, già negli anni '90, a ritenere un errore la guerra in Afghanistan, a profetizzare che non avrebbe portato a nessuno degli obiettivi sperati e certo non alla pace)

Di questi tempi si sente spesso discorrere di «scontro di civiltà», e credo che ciò sia vero. Non nel senso che due mondi e due culture, quelli occidentali e quelli islamici, siano entrati in rotta di collisione: questo è del tutto falso. Ad essere in crisi è, piuttosto, l’idea stessa di «civiltà», o meglio la nostra idea di civiltà.

È come se, in una nuova Macondo, non riconoscessimo più i principî, i concetti, perfino le parole. L’occupazione militare di un paese sovrano diventa missione di «peace-keeping», l’assassinio di cinquemila civili afgani sotto le bombe – ero in Afghanistan in quel periodo – si trasforma in «guerra al terrorismo». Cinquemila esseri umani spariti nel nulla, «effetti collaterali», cavie da laboratorio.

Non ci deve sorprendere il disagio che proviamo, né la nostra spaventosa capacità di digerire ogni orrore della guerra. È frutto di una prolungata e puntuale opera di condizionamento dei nostri cervelli, una ferita prodotta da «un’arma» nuova e micidiale: l’informazione.

Un’arma di «distrazione» di massa.

Il mio mestiere di chirurgo mi ha portato a vivere in mezzo alle guerre negli ultimi 15 anni, in Africa, in Asia, in America latina, perfino nella nostra Europa. Forse questo mi rende refrattario alla manipolazione, almeno sulla guerra. Perché quella che ho visto in molti paesi non c’entra niente con la favola che ho sentito raccontare da giornali e televisioni: la guerra che ristabilisce diritti umani, la guerra che porta la pace, la guerra che libera le donne. Non ci sono, non esistono. Non c’è guerra umanitaria, non può esserci uccisione degli uomini in nome dell’uomo.

Facciamo la guerra? A chi? La guerra si fa al nemico, lo si colpisce il più duro possibile. Ho visto il nemico sconfitto, annientato. Bambini fatti a pezzi dalle bombe e dalle mine antiuomo, o lasciati spegnere da malattie diventate incurabili per l’embargo alle medicine. Loro sono stati colpiti, loro sono stati il nostro nemico. Per qualcuno di noi – cittadini del nostro stesso pianeta – sono solo «effetti», non esseri umani. Mi spaventa solo lo scriverlo.

Il nemico «ufficiale» invece, quello che non abbiamo colpito, è sempre lì. È il mostro, o il mostro di turno, il feroce dittatore che chiamavamo presidente finché eravamo noi ad armarlo. Nell’ultima metà del secolo scorso abbiamo assistito a un rito macabro: in tutti i conflitti decisi da politici e generali, su dieci morti, nove sono stati civili. Un dato statistico inoppugnabile.

Che orrendo gioco è questo? Perché molti nostri «governanti» ci stanno mentendo, e ci propongono la guerra per difendere «la nostra sicurezza»? La sicurezza di noi tutti, cittadini del pianeta, dipende invece – lo sappiamo benissimo – dalla nostra capacità di mettere al bando la guerra, di farla sparire dalla faccia della Terra, di lottare contro la guerra con forza, come stiamo facendo per vincere il cancro.

È un compito difficile ma improrogabile che spetta a noi, donne e uomini di questo inizio di millennio. Dobbiamo riuscirci, e in tempi brevi, perché le armi di distruzione di massa, anche quelle progettate «per la nostra sicurezza», rischiano di distruggerci e di consegnare un mondo inospitale alle generazioni future. Come siamo potuti arrivare fin qui?

Se centinaia di milioni di noi muoiono ogni anno di fame e di guerra, di malattia e di povertà, se siamo arrivati al punto che la guerra – che le famiglie europee hanno ben conosciuto – ci viene offerta come condizione normale di vita, ciò è potuto accadere solo perché nel mondo c’è poca democrazia, molto poca. Certo è responsabilità di molti, a cominciare da chi non si è mai preoccupato di quel che gli succedeva intorno. Mancanza di partecipazione, disinteresse alla politica. Non ci siamo preoccupati che la politica del paese militarmente più forte fosse decisa da elezioni finanziate per tre miliardi di dollari dalle varie «corporation», e le corporation hanno fatto il loro lavoro. Ciascuna lobby ci ha indicato il «suo» politico, non il nostro.

Ci presentano due candidati, entrambi loro, e noi scegliamo. O meglio, come è successo nelle ultime elezioni Usa, il 30 per cento della popolazione sceglie e alla fine la Corte Suprema dichiara il vincitore senza passare per la conta dei voti. Se davvero chi governa esprimesse, rappresentasse il volere del popolo, l’Europa non sarebbe lacerata com’è. I popoli dell’Europa, la grande maggioranza dei cittadini europei, non vogliono la guerra all’Iraq. Anzi, non vogliono più nessuna guerra: la ritengono una barbarie, contraria all’etica e alla ragione umana.

Eppure alcuni governanti non considerano affatto l’opinione dei loro governati – tantomeno si sognano di indire consultazioni popolari – e vogliono portare il paese in guerra contro la volontà dei cittadini. Magari violando, come è già successo in Italia ad opera di governi di centro-sinistra e di centro-destra, la stessa Costituzione. In occasione della guerra all’Afghanistan, il 92 per cento del parlamento italiano ha votato per la guerra, cioè contro la Costituzione del proprio paese. Un esempio che ben chiarisce quanto grande sia il bisogno di democrazia, soprattutto di questi tempi. Gli Stati Uniti sono lì a dimostrare quanto la democrazia faccia a pugni con la guerra, quanto sia incompatibile.

I cittadini di quel paese stanno pagando un prezzo enorme: possono venire arrestati, interrogati con le moderne tecnologie, perfino giustiziati, senza passare da un tribunale, senza diritto a una difesa. È la nuova legge, che seppellisce la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Quant’altra democrazia ha già macinato nel mondo il bellicismo della giunta petrolifera al potere negli Usa? Diritto internazionale, accordo di Kyoto, Corte penale, Convenzioni di Ginevra, autonomia delle Nazioni Unite… Io mi sento solidale con il popolo statunitense, e sono contrario a quel «governo», il loro, che annienta persino la libertà dei propri cittadini, che agisce «contro il suo stesso popolo». E credo che essere contrari alla politica di George Bush e dei suoi amici sia un imperativo morale per tutte le persone per bene che abitano il pianeta.

Perché la politica in quel paese – e non solo in quello, ahimè – è stata usurpata da lobby pronte «a colpire» se vedranno «minacciati» i loro interessi, che spacciano per «interessi nazionali». Sono quegli interessi che oggi dettano la politica. La politica non è più cosa per cittadini, non deve più sforzarsi di migliorare la cosa pubblica e il nostro vivere associati. Oggi la politica serve gli interessi privati dei «Signori della Politica», di chi la finanzia e la controlla. Che sono anche i Signori della Guerra.

Hanno scelto la guerra. Perché fa aumentare vertiginosamente i loro conti correnti, ma soprattutto perché l’uso illimitato e indiscriminato della forza è l’unico mezzo che hanno ormai a disposizione per mantenere la situazione attuale, quella che vede meno del 20 per cento degli uomini possedere più dell’80 per cento delle ricchezze del mondo. Le armi per mantenere ad ogni costo i privilegi di pochi. Un ritorno al passato, nella storia dell’uomo, altro che new economy.

Questa è la vera guerra mai dichiarata: la guerra ai poveri del mondo, agli emarginati, agli sfruttati, ai deboli, ai diversi, la guerra a tutti gli «spendibili», vittime designate dei nostri consumi.

In molti hanno trovato il coraggio di una ribellione morale e si rifiutano di essere complici di chi pensa, dopo averli spogliati di tutti i loro averi, di eliminare i poveri anziché la povertà. Mai come oggi il mondo è stato percorso da una voglia di cambiamento così forte, mai si erano visti tanti milioni di persone mobilitarsi per la pace. Chiedono pace. E hanno voglia di giustizia, non di Guantanamo. Hanno voglia di diritti, per tutti, magari perché nella loro umanità residua ancora riescono a sentirsi meglio se nessuno muore di fame intorno a loro, anche se a migliaia di chilometri. Hanno voglia di un mondo più umano, più giusto, più solidale, un mondo di donne e uomini «liberi ed eguali in dignità e diritti». Perché ancora credono che quell’«effetto collaterale», cui nessuno porterà un fiore né una coccarda, abbia in realtà una faccia e un nome, una storia e degli affetti. Insomma credono che sia uno di noi, e che sia un valore per tutti che lui continui ad esistere. E credono che la vita umana, di ciascuno di noi, sia un valore, un fine, e che non possa mai essere ridotta a un mezzo, assoggettabile o addirittura spendibile, sull’altare della finanza o del mercato, o della politica. È l’etica – ritengono – che deve guidare la politica, non viceversa.

Utopia, pacifismo infantile?

Assolutamente no. Anzi, un progetto in via di realizzazione. Il 15 febbraio i cittadini del mondo hanno chiesto pace, e i governanti non potranno girarsi dall’altra parte. L’arma di «distrazione» di massa si è inceppata, i cittadini hanno ricominciato a capire il senso delle parole. Prima fra tutte, «democrazia»: non sarà più permesso ai governi di dichiarare guerre a nome dei popoli. Il mondo non sarà più lo stesso, dopo il 15 febbraio.

Kabul, 16 febbraio 2003


Nota:  Era il 15 febbraio 2003. In tutto il mondo 110 milioni di persone scendevano in piazza in più di 600 città contro la guerra in Iraq. In Italia la manifestazione di Roma portò in piazza 3 milioni di persone, ed entrò nel Guinness Book of Records come la più grande manifestazione contro la guerra della storia. Dal gennaio si discuteva di una coalizione militare per aggredire l’Iraq, una guerra non ancora iniziata ma già preannunciata.

Com’è noto, l’Iraq venne attaccato un mese dopo, a marzo. L’Italia partecipò all’invasione assieme agli USA e ai paesi alleati. Una sporca guerra per il petrolio, giustificata con menzogne di ogni tipo che i media diffusero a reti unificate: il dittatore da rovesciare per portare la “democrazia”, le armi chimiche mai trovate, i legami col terrorismo inesistenti. Nell’Iraq occupato e ridotto a in macerie originano l’Isis e molti dei problemi che oggi affliggono il Medio Oriente.

sabato 14 agosto 2021

Gino Strada l'omaggio dei disegnatori italiani (parte prima)

 

Un Mito

Gio / Mariagrazia Quaranta


Il nostro amato Gino è morto questa mattina.

È stato fondatore, chirurgo, direttore esecutivo, l’anima di 

EMERGENCY.

“I pazienti vengono sempre prima di tutto”, il senso di giustizia, la lucidità, il rigore, la capacità di visione: erano queste le cose che si notavano subito in Gino. E a conoscerlo meglio si vedeva che sapeva sognare, divertirsi, inventare mille cose.

Non riusciamo a pensare di stare senza di lui, la sua sola presenza bastava a farci sentire tutti più forti e meno soli, anche se era lontano.

Tra i suoi ultimi pensieri, c’è stato l’Afghanistan, ieri. È morto felice.

Ti vogliamo bene Gino.

-- Lo staff di EMERGENCY



Cambiare il Mondo è impossibile, renderlo migliore è possibile, sicuramente Gino Strada lo ha reso migliore a milioni di persone in tante zone dimenticate e marginali dove guerre e ingiustizie sono sovrane
Paolo Lombardi


Molte vignette che ho disegnato sono state ispirate da quello che Gino Strada faceva in tante parti del mondo, questa è una, ricordo la sua rabbia quando raccontava delle vittime delle mine, vittime in gran maggioranza bambini, mine spesso costruite in Italia, a Brescia per esattezza
Paolo Lombardi



Addio a un GRANDE uomo!
Umberto Rigotti



Un altro mondo è possibile!
Non serve essere Santi, non serve essere Supereroi, ma uomini.
Uomini nel senso più pieno e profondo.

E Gino Strada lo era.

Sarà difficile portare avanti questa lezione di umanità.

Il mio omaggio a Gino Strada
Alagon / Virginia Cabras



È morto Gino Strada.
#Emergency EMERGENCY #GinoStrada #Lutto
Stefano Tartarotti

Dedico questa mia vecchia illustrazione del 1987 a Gino Strada, scomparso oggi, fondatore della ONG Emergency, medico al fronte contro tutte le guerre. Grazie!
I dedicate this old illustration of mine from 1987 to Gino Strada, deceased today, founder of the ONG Emergency, doctor at the front against all wars. Thank you!
Marco De Angelis



Vanessi


Kutoshi Kimimo

La Rotta

#ginostrada #ginostradaemergency #emergency #sketch #cartoon #vignette #watercolor #drawing
Luca Garonzi


Alla mia maniera in ricordo di un grade personaggio che troppo presto è andato avanti... buon viaggio #GinoStrada !
Perazzolli



A Gino Strada.
https://www.nicocomix.it/gino-strada/
#Nicocomix #GinoStrada #Emergency #ospedali #umanità #fumetti #vignette #artist #painting #drawing #emergencymedicine #13agosto


Riposa in pace e... grazie!

#GinoStrada #emergency #Gino @emergency_ong #satiraneurodeficiente #disegni #Vignette
Mario Airaghi


Gallo


Ciao Gino.
#ginostrada #emergency
Romaniello

Andrea Savostano




La mia vignetta pubblicata su LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO l'11 luglio 2007. Gino Strada lascia l'Afghanistan per le accuse infamanti che descrivono Emergenzcy fiancheggiatrici di al-Qaeda. Il medico accusa il nostro governo di non aver smentito immediatamente le gravi accuse. Adesso che è morto non ci sarà città che non gli dedicherà UNA STRADA.
Nico Pillinini


LA NOTTE DI SAN NESSUNO... era il 2005.
Fogliazza




“I pazienti vengono sempre prima di tutto”, è la frase che Emergency ha voluto sottolineare per ricordare al meglio Gino Strada.
Christian Durando



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Addio, Gino
È morto oggi a 73 anni Gino Strada, fondatore di Emergency e da sempre paladino dei diritti umani. Nato a Sesto San Giovanni nel 1948, studiò al Liceo classico Carducci per poi laurearsi in Medicina e Chirurgia all'Università Statale di Milano, specializzandosi in Chirurgia d'urgenza. Aveva una spiccata sensibilità Gino Strada, un'umanità rara che lo aveva portato a diventare uno dei più grandi esperti di trapianti di cuore e cure delle vittime di guerra. Tra il 1989 e il 1994 ha lavorato con il Comitato internazionale della Croce Rossa in Afghanistan, Pakistan, Gibuti, Etiopia, Bosnia ed Erzegovina, Perù e Somalia.
Quando fondò nel 1994 Emergency forse non immaginava che la Ong sarebbe diventata una delle più importanti associazioni umanitarie internazionali che avrebbe curato e salvato circa 11 milioni di persone in tutto il mondo. Tra le posizioni critiche assunte, quelle più veementi riguardarono la partecipazione dell'Italia in Afghanistan nell'Operazione Isaf. Proprio nel Paese oggi di nuovo in mano ai talebani, Strada visse sette anni. Il programma di Emergency partì in Afghanistan nel 1999 e, con tre ospedali e 40 cliniche, ha permesso di curare oltre sette milioni e mezzo di persone. Fu tra i primi già negli anni '90 a ritenere un errore la guerra nel Paese e a profetizzare che non avrebbe portato a nessuno degli obiettivi sperati. Strada aveva dichiarato di non votare alle elezioni politiche da circa trent'anni, perché contrario alle scelte di politica estera di vari governi a sostegno delle missioni, alla partecipazione del Paese in diversi conflitti e alle politiche di gestione del fenomeno migratorio.
A seguito delle dimissioni dei vari commissari straordinari alla sanità in Calabria nel 2020, il nome di Strada era circolato per ricoprire questo ruolo, ma alla fine non se ne fece niente. Strada decise allora di creare e gestire con Emergency un reparto Covid in un ospedale da campo a Crotone. (adnkronos)




mercoledì 23 settembre 2015

Storie di abusi ai minori taciute in Afghanistan

Inchiesta del New York Times. Marines americani hanno l'ordine di ignorare le violenze sessuali che vengono compiute regolarmente dagli alti ufficiali della polizia del Paese, in alcuni casi anche quando avvengono nelle stesse basi militari



Destroy    Michel Moro Gómez (MORO)
The positition of women in Afghanistan. This cartoon is selected for Peace & Justice 2015-2016. The cartoon is based on an idea by Fatima Khalil-ul-Allah from Marefat Primary and High School in Kabul, Afghanistan.
22 Sep 2015




Libertà duratura per carnefici d’ogni specie


«Il motivo per cui eravamo lì era per le terribili cose che sapevamo i talebani facevano contro la popolazione, abusando dei diritti umani» E’ ciò che riferisce al NYT un marine statunitense impiegato nell’Enduring Freedom  in Afghanistan.

mercoledì 10 luglio 2013

Papa Francesco: l'enciclica e due "santi"

Pope Franziskus
By Petar Pismestrovic, Kleine Zeitung, Austria  -  4/10/2013


 La notizia
5 luglio 2013: data multipla e ricca di significati. Arriva, presentata in Sala Stampa ai giornalisti di tutto il mondo, la prima Enciclica di Francesco, “Lumen Fidei”, che come noto tiene conto anche del precedente lavoro di Benedetto XVI. Questi aveva l’intenzione di completare con il terzo documento, sulla fede, il complesso delle sue due encicliche, Deus Caritas e Spe salvi, sulla carità e sulla speranza. Poi la realtà si è fatta diversa, nell’annuncio dell’11 febbraio scorso…

E il Papa è Francesco. Non basta: nella stessa circostanza viene annunciata la canonizzazione di due Papi recenti, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, e stesso giorno si sono incontrati pubblicamente Francesco e il Papa emerito, nei giardini vaticani per l’inaugurazione di una statua dell’Arcangelo San Michele, alleato del credente nella lotta per il bene e contro il male, anche tradizionalmente personificato in Satana e nelle sue tentazioni che non risparmiano gli uomini di fede… Un’enciclica “a quattro mani” – si era detto – ma che si presenta con una sola firma. Infatti uno solo è il Papa, Francesco, che riconosce con gratitudine il contributo del suo Predecessore, ma si assume tutto il testo: 4 capitoli in 82 pagine indirizzate “Ai vescovi, ai presbiteri” (cioè i preti), “ai diaconi, alle persone consacrate” (cioè i frati non preti e le suore) e “a tutti i fedeli laici”.
(continua)

Le vignette


Giannelli - Corriere della sera


FRANCESCO V
Mancherebbe un miracolo ma che importa?
Papa Francesco approfitta della beatificazione di papa Wojtyla e proclama santo anche Giovanni XXIII mettendo d'accordo le opposte tifoserie.
Gianfranco Uber



vengo a prenderti stasera
 fabiomagnasciutti
Etichette: enciclica, magnasciutti, papi


fabiomagnasciutti



 enciclica a quattro mani con Ratzinger
UVA




Claudio Cadei



Nico Pillinini






domenica 10 ottobre 2010

Il cordoglio

Cordoglio per i 4 alpini caduti nella missione di pace in Afghanistan...
... ma non solo per loro ... ma anche per tutti quelli caduti precedentemente... 
...fa più notizia quando il numero dei caduti è alto ma anche una vita  sola è troppo importante per essere persa... 34 sono i militari caduti dal 2004 in Afghanistan...
Un pensiero a tutti i familiari.

Giannelli http://www.corriere.it/ 


totocalì Inserto Satirico
TOTO' CALI' http://totocali.blogspot.com/


C'è posta per te!
Matteo Bertelli


Un mondo di animali
Andrea Alla Foa!!! Inserto Satirico


Missione di pace!
Umberto Romaniello



La tragedia afghana mi ha fatto inevitabilmente pensare al programma scolastico "Allenati per la vita" il programma scolastico sottoscritto da Gelmini e La Russa
EbEr- EbEr Album



Penne più nere
Mario Bochicchio

Bang!
 GAVA http://gavavenezia.blogspot.com/

IL CORDOGLIO

Unanime il cordoglio per le quatto vittime italiane della guerra in Afganistan.
Anche il generale Petreus ha espresso il suo dolore e il suo ringraziamento per lo sforzo militare italiano.
Il progressivo sganciamento degli USA da questa avventura, che ormai viene definita comunemente "un nuovo Vietnam", è destinato ad incidere pesantemente sull'impegno italiano che sarebbe auspicabile venisse immediatamente rivalutato.Uber Humour

lunedì 26 luglio 2010

McChrystal si congeda



Political Cartoons by Chip Bok


''Per quelli che sono qui stasera che sentono il bisogno di contraddire i miei ricordi con la verita', ricordo che anche io sono qui. Ho storie su tutti voi, foto di molti di voi e conosco un giornalista del Rolling Stone''.

L'illustre carriera di McChrystal ha ricevuto un brusco arresto dopo che e' stato costretto a dare le proprie dimissioni da comandante Usa in Afghanistan a seguito del discusso articolo della rivista Rolling Stone nel quale si e' lasciato andare a critiche contro alcuni funzionari dell'amministrazione Obama.

Dopo l'ironia, pero', McChrystal ha raccolto il saluto dei vertici militari, della Casa Bianca e dell'ambasciatore in Afghanistan con un sorriso amaro velato dalla tristezza.

''Ho lasciato una missione che ho sentito fortemente. Ho finito una carriera che ho amato e che ha avuto inizio oltre 38 anni fa. Lascio degli impegni senza averli portati a termine, impegni che avevo preso con i miei compagni di battaglia, impegni che considero sacri'', ha ammesso con commozione.

''Il mio servizio non e' finito come avrei voluto'', ha concluso il generale.



Sacked
By Olle Johansson Sweden



Il presidente Barack Obama ha rimosso il comandante della guerra in Afghanistan Stanley McChrystal che aveva sbeffeggiato i civili della sua amministrazione. Il presidente ha affidato il comando delle forze Usa e Nato a uno stratega collaudato, il generale David Petraeus, popolare architetto della strategia dei rinforzi del 2007 in Iraq che ha debellato la contro-offensiva.


General McChrystal
By Nate Beeler The Washington Examiner


McChrystal ha perso il posto per aver parlato a ruota libera: "Il dibattito nella mia squadra e' benvenuto, ma non tollero le divisioni", ha detto Obama nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, al suo fianco Biden, Petraeus e il capo degli Stati Maggiori Mike Mullen. "Cambio un uomo ma non la strategia', ha detto il presidente e al quartier generale della Nato il segretario generale Anders Fogh Rassmussen ha confermato: la strategia "non cambia".



Daryl Cagle

McChrystal, segaligno e asceta, e' scivolato su un beffardo articolo della rivista anti-militarista Rolling Stone: un lungo profilo del giornalista freelance Michael Hastings infarcito di parolacce e commenti da caserma sul presidente e sul suo staff.

L'intervista a rollingstone:
The Runaway General
Stanley McChrystal, Obama's top commander in Afghanistan, has seized control of the war by never taking his eye off the real enemy: The wimps in the White House

Stanley McChrystal: Generale in fuga(l'intervista tradotta)




Improvied-Explosive-Device




McCrystal Problem Saluting
By Bill Schorr
Cagle Cartoons


McChrystal-Foot
by Bennett

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Intervista-shock, McChrystal in bilico



23/06/2010-NEW YORK. Dal nostro corrispondente
Barack Obama è stato chiarissimo: si risolverà soltanto oggi, durante un incontro alla Casa Bianca che si preannuncia drammatico, il destino del generale Stanley McChrystal, richiamato d'urgenza a Washington dopo la pubblicazione su Rolling Stones di dichiarazioni sue e dei suoi uomini, irriverenti e offensive su ambasciatori americani, consiglieri di Obama e persino sul vicepresidente. McChrystal, il comandante in testa delle truppe schierate in Afghanistan, ha già chiesto scusa. Ma il suo destino è in bilico, perché, improvvisamente, dalle dichiarazioni polemiche il dibattito politico si è esteso alle difficoltà che incontra l'offensiva americana in Afghanistan e alla coesione e al morale delle truppe al fronte. Anche perché molte delle dichiarazioni offensive giungono dai più vicini collaboratori del generale. «I commenti del Generale McChrystal dimostrano poco buon senso…ma voglio parlare faccia faccia con il generale prima di prendere una decisione» ha detto il Presidente ai giornalisti subito dopo una riunione del governo. Poi ha aggiunto: «Ci tengo a sottolineare però che al di là della mia decisione quel conta è la nostra missione in Afghanistan e il benessere dei nostri soldati». Le indiscrezioni riprese da Time magazine secondo cui McChrystal avrebbe già rassegnato le dimissioni non sono state confermate al momento di stampare questo giornale. Coloro che premono per una conferma di McChrystal rilevano che suoi virgolettati diretti non erano così offensivi e che la missione non viene mai messa in dubbio. Insomma nell'articolo c'è lo sfogo personale di un soldato. Obama inoltre ha già licenziato un generale, David McKiernan, il predecessore di McChrystal, il primo licenziamento di un generale in 50 anni. Resta il fatto che le dichiarazioni e il tono dell'articolo sono inaccettabili, al limite dell'insubordinazione, per qualunque soldato di qualunque grado. Il titolo dell'articolo, “The Runaway General”, il “Generale Ribelle” contiene uan frase provocatoria: «I veri nemici del Generale? I mollaccioni alla Casa Bianca». A Obama è bastato leggerlo per infuriarsi, ha rivelato il suo portavoce Robert Gibbs che ha aggiunto «il generale ha commesso un errore enorme». Il problema principale per McChrystal è che il titolo di Rolling Stones non era “tirato”. Rifletteva lo spirito di sue dichiarazioni virgolettate e non smentite che attaccavano tutti, incluso il Presidente degli Stati Uniti d'America, il suo “commander in chief”, Barack Obama. La revisione ordinata da Obama sull'andamento della guerra diventa così «un periodo doloroso…Volevo far passare una linea che non era possibile far passare». Un suo aiuto riferisce che «anche se il boss ha votato per Obama, non si sono mai presi…», e aggiunge: «Il capo era molto deluso…il Presidente non sapeva nulla di lui…ecco l'uomo che deve combattere la tua guerra e lui non sembrava essere interessato…dieci minuti di rapido incontro alla Casa Bianca, una foto e via…». Sono le dichiarazioni di uno dei soldati, tra una birra e l'altra tra un viaggio e l'altro, tra una missione e l'altra. Michael Hastings, l'autore dell'articolo, in effetti ha seguito per un mese il generale e la sua squadra, la mitica “Team America”, fatta da spie, sicari, avvocati, intellettuali anticonformisti per scrivere un profilo sul generale, conosciuto fin dai tempi dell'accademia militare di West Point per la sua irriverenza nei confronti dei superiori, per il suo machismo e per una serie di azioni al margine della corte marziale. E ce n'è per tutti. Il Viceprsidente Joe Biden viene ridicolizzato, un uomo «di corte vedute…creerà il Chaos-istan». McChrystal attacca anche Richard Holbrooke, l'inviato speciale del Presidente nella regione: «un'altra sua email…? Non ho neppure voglia di aprirla». «Il capo considera Holbrooke un animale ferito, uno che crede continuamente di sentire voci su un suo possibile licenziamento e questo lo rende pericoloso» spiega un altro aiutante di campo. Sotto attacco anche l'Ambasciatore americano a Kabul, Karl Eikenberry, un ex generale che «cerca di coprirsi il fondoschiena con dichiarazioni negative su quel che facciamo in Afghanistan senza neppure consultarsi prima…». Jim Jones, il capo del consiglio per la Sicurezza Nazionale è un «pagliaccio, rimasto fermo al 1985, alla guerra Fredda». L'unica che si salva è Hillary Clinton: «Ha difeso il generale – dice l'aiutante (che sia lo stesso McChrystal?)– lo ha appoggiato e gli ha dato tutto quello di cui aveva bisogno». Osservazione che semmai ha aumentato l'irritazione della Casa Bianca.
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Gen. Stanley A. McChrystal, commander of NATO's International Security Assistance Force and US Forces-Afghanistan, works on board a Lockheed C-130 Hercules aircraft between Battlefield Circulation missions.
US Navy Petty Officer 1st Class Mark O'Donald/NATO



CHAPPATTE

http://0.tqn.com/d/politicalhumor/1/7/_/W/3/Afghanistan-Insubordination.jpg
Toles



http://0.tqn.com/d/politicalhumor/1/7/N/W/3/General-Contempt.jpg
John Darkow, The Columbia Daily Tribune, Missouri

http://0.tqn.com/d/politicalhumor/1/7/L/W/3/McChrystal-Finished.jpg*
Political-Cartoons/McChrystal-Finished.


Stephen Breen
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Ultima Ora: Wikileaks


Una guerra disastrosa: è il ritratto del conflitto in Afghanistan che emerge dalla poderosa fuga di notizie, innescata da Wikileaks, secondo cui tra le carte «potrebbero esserci le prove di crimini di guerra». Civili morti e di cui non si è mai saputo nulla, un’unità segreta incaricata di «uccidere o catturare» ogni talebano senza alcun processo, i droni Reaper telecomandati a distanza da una base del Nevada, l’escalation della campagna talebana con le mine nascoste (che finora ha causato almeno 2.000 vittime civili), la collaborazione tra i servizi segreti pakistani (Isi) e i talebani: gli archivi segreti della guerra in Afghanistan sono stati svelati da Wikileaks -il portale Internet creato proprio per pubblicare documenti riservati, autore nel passato di numerosi scoop- e consegnati al New York Times (in Usa), al Guardian (in Gran Bretagna) e a Der Spiegel (in Germania).

Guerra in Afghanistan, i file segreti
Kabul: «52 civili uccisi dalla Nato»




Sbavagliamoci
Wikileaks svela la 'vera' guerra in Afganistan.
MAURO BIANI - http://maurobiani.splinder.com/