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lunedì 12 marzo 2018

Appello contro il genocidio di Afrin


© Zerocalcare


L’Amministrazione autonoma di Afrin ha rilasciato un appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite allo scopo di fermare il massacro dello Stato turco contro i civili. L’Amministrazione autonoma del cantone di Afrin in Siria settentrionale ha rilasciato un comunicato alla stampa, che è stato letto dal Co-presidente del Consiglio esecutivo tra le attività di ricognizione degli aerei da guerra turchi.

Şex İsa ha fatto appello al Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite allo scopo di fermare il massacro contro i civili ad Afrin, e ha dichiarato quanto segue:

” Negli ultimi giorni lo Stato fascista turco sta cercando di portare avanti attacchi contro la popolazione civile ad Afrin dal cielo e da terra. Centinaia di civili, comprese donne e bambini, sono stati massacrati a seguito di questi attacchi. Oltre agli attacchi armati, l’esercito turco invasore sta cercando anche di prendere di mira direttamente gli approvvigionamenti di acqua potabile, scuole e abitazioni. Centinaia di persone finora sono state sfollate da questi attacchi.

Con questi attacchi fascisti, lo Stato turco cerca di sfollare la popolazione del posto dalle loro terre dove hanno vissuto per migliaia di anni.

Il silenzio dell’opinione pubblica è la sola ragione della situazione ad Afrin.

Su queste basi, noi come Amministrazione autonoma del Cantone di Afrin avvisiamo le Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e sollecita loro a rompere il silenzio su questi attacchi.

Chiediamo alla Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e alle organizzazioni giuridiche collegate di fermare gli attacchi nel cantone di Afrin A come risposta alla barbarie e alle atrocità di Erdoğan “.



ally by Joep Bertrams, The Netherlands


Olive branch
Master Chef
Non so quanti di voi hanno potuto ascoltare la puntata odierna di "Tutta la citta".
Ascoltatela o riascoltatela in podcast anche se non credo possa dare una spiegazione esaustiva all'intreccio di interessi e connivenze  che stanno provocando migliaia di vittime innocenti.
Poi ditemi comunque se non sarebbe giusto candidare Erdogan al Nobel per la pace per il nome "Ramoscello d'Ulivo" con cui ha battezzato l'attuale intervervento armato turco contro i Curdi di Afrin.
Visto  però che ormai i più probabili  assegnatari saranno Trump e Kim Jong Un,  proporrei di assegnargli quello per l'Ipocrisia.
Uber



KFP    Jalal hajir
Erdogan continues his massacre against the Kurds of the city of Afrin under the total silence and complicity of the so-called "international comminity" mobilized against the Syrian government
12 Mar 2018


Una grande colonna di civili in fuga da #Afrin nell'univo corridoio di uga, per il timore del bagno di sangue che tagliagole e esercito turco si apprestano a fare nella città con un milione di civilipic.twitter.com/YAM794Behipic.twitter.com/Kon7nLrW2N


Why are world leaders backing this brutal attack against Kurdish Afrin?
Afrin senza pace - Tutta la città ne parla RAI3
François Hollande : « Quel est cet allié turc qui frappe nos propres alliés? »
Afrin

domenica 3 gennaio 2016

Arabia Saudita: 47 esecuzioni capitali



sabato 2 gennaio 2016
QUARANTASETTE ... MORTI CHE PARLANO
In Arabia Saudita si festeggia l'anno nuovo con 47 esecuzioni capitali.
Paese che vai ...
Gianfranco Uber





SABATO 2 GENNAIO 2016
Il giovine apprendista


Ciliegina sulla torta; l'Arabia Saudit è a capo del Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Per tutto il 2016.


Plantu


execution of Nimr Al-Nimr    Jalal Hajir
executed for daring to say "no" !!!
02 Jan 2016










Genio UN lamp    Vasco Gargalo
Saudi Arabia
03 Jan 2016



28-11-2015 Peter Brookes per The Times


Da Famiglia Cristiana
Lo Stato canaglia per eccellenza del Medio Oriente,l’Arabia Saudita, ha iniziato il 2016 esattamente come aveva concluso il 2015: ammazzando gente. 47 esecuzioni capitali per decapitazione o fucilazione in un solo giorno. Il che vuol dire che il secondo giorno dell’anno il regime wahabita ha già messo a morte un terzo delle persone uccise nel 2015 (157, secondo il calcolo delle diverse organizzazioni umanitarie) e più di metà di quelle uccise nel 2014 (87).
La pena di morte, in Arabia Saudita, è sempre meno uno strumento, pure allucinante, della giustizia penale e sempre più uno strumento di controllo sociale, usato senza alcun ritegno dall’accoppiata re-muftì. Il re Salman al-Saud, sul trono da meno di un anno, e Sheikh Abdul Aziz Alal-Sheikh, gran muftì dal 1999, per il quale parlano certe fatwa: per esempio, nel 2012, l’invito a distruggere tutte le Chiese cattoliche della penisola arabica e, sempre quell’anno, la conferma della legittimità del matrimonio coatto per le bambine di 10 anni.
Vedremo se la stampa internazionale, domani, parlerà di “svolta storica” per l’Arabia Saudita, come si precipitò a fare, poco tempo fa, per l’elezione di 13 donne in una tornata elettorale disertata dagli elettori (25% di affluenza ai seggi) perché coreografica e ininfluente.
 Nell’attesa, molti si sono concentrati sulla messa a morte dello sceicco Nimr al-Nimr, influente esponente della comunità sciita, minoritaria in Arabia Saudita (10-15% della popolazione) ma forte nella provincia del Qatif, affacciata sul Golfo Persico, ricca di riserve petrolifere (produce 500 mila barili al giorno dal 2004) e vicina al Bahrein. Con la Primavera araba del 2011, Nimr al-Nimr era diventato una figura di punta nella contestazione al regime e nella richiesta di maggiori diritti per le minoranze religiose. Gli sciiti del Qatif avevano anche cominciato a chiedere la separazione dall’Arabia Saudita e l’annessione al Bahrein, dove gli sciiti sono maggioranza (70% della popolazione) ma soggetti alla monarchia sunnita degli Al Khalifa.
Richiesta che aveva fatto scattare la repressione: gli Al Khalifa chiesero l’intervento dell’Arabia Saudita che mandò in Bahrein l’esercito, con tanto di forze corazzate. Morti, feriti, prigionieri politici e torture a seguire, senza alcuno scandalo internazionale. Al contrario, con la benevola approvazione del premio Nobel per la Pace Barack Obama.
Mettere a morte Al Nimr, oltre a molti altri personaggi che avevano come colpa soprattutto quella di opporsi agli Al Saud, non vuol dire tanto cercare lo scontro con gli sciiti, perché questo scontro va avanti da secoli e non saranno queste esecuzioni a cambiarne la natura o la radicalità. Vuol dire soprattutto ricordare all’Occidente che il patto col diavolo dev’essere rispettato. L’Occidente che sventola la bandiera della democrazia, e della sua diffusione in Medio Oriente, non deve impicciarsi della penisola arabica, dove pure la democrazia è fatta a pezzi. Le maggioranze controllate da minoranze possono farsi sentire altrove, tipo in Siria. Ed essere anche armate, finanziate, organizzate, sponsorizzate all’Onu e in ogni dove. Ma non in Bahrein.

E l’Arabia Saudita può fare ciò che vuole: appoggiarsi a una delle versioni dell’islam più retrive per giustificare la repressione politica, esportare il credo wahabita nel mondo, finanziare quasi tutti i movimenti islamisti più radicali, fomentare guerre civili, intervenire militarmente in altri Paesi, bombardare villaggi e città dello Yemen (quasi 6 mila morti, tra i quali tantissimi bambini, nella guerra contro i ribelli sciiti Houthi), appoggiare gli islamisti in Siria. Per noi va tutto bene.
Al momento in cui scrivo, Barack Obama non ha aperto bocca sulle 47 esecuzioni. Forse è meglio così: probabilmente direbbe “l’Arabia Saudita ha diritto di difendersi”, come se non bastassero i 27 mila soldati Usa sul Golfo Persico, le basi, le imponenti forniture di armi che da due anni fanno proprio dei sauditi i maggiori acquirenti e importatori di armi del mondo (primi, con 20 milioni di abitanti, davanti all’India, grande come un continente e con 1,3 miliardi di abitanti). Del resto, Obama portò la famiglia e mezzo Governo Usa a piangere ai funerali del re saudita Abdallah, un anno fa, e quindi non c’è molto da aspettarsi.
Nulla dirà anche il presidente francese Hollande, visto che solo due mesi fa il suo premier Manuel Valls andò a Riad e twittò orgoglioso per i 10 miliardi in contratti che riportava a casa, anche sotto forma di vendita di armi. Tacerà anche Matteo Renzi che pure non ama tacere: quando andò a Mosca si precipitò a portare fiori sul ponte dov’era stato ucciso Boris Nemtzov, oppositore di Vladimir Putin. Dubito che farà lo stesso gesto per Al Nimr:  anche Renzi è stato da poco in Arabia Saudita, anche lui ha firmato contratti, ha dispensato sorrisi ed è tornato a casa. In silenzio.

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  Saudi Arabia executes 47 people in one day including Shia cleric